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Lettere e diari dal fronte italiano della Prima guerra mondiale

Dopo aver studiato la prima guerra mondiale, letto brani narrativi e visto spezzoni di film, noi ragazzi di 3°D abbiamo provato a immedesimarci in un soldato della prima guerra mondiale, impegnato in trincea, sul fronte italiano. Ognuno di noi ha immaginato un personaggio diverso, pensando alla sua età, al suo grado di istruzione e al suo lavoro in tempo di pace, agli affetti, alle speranze, ai sogni di cui avrebbe potuto scrivere in una lettera o in pagine di diario. Ecco alcuni dei nostri scritti.

Cara Elisa,

come stai? Come stanno i bambini?

Ti starai chiedendo come mai non ti ho scritto; la verità è che qua sul fronte è difficile anche avere uno straccio di carta sporca.

Infatti qui le condizioni di vita sono pessime: ci danno da mangiare solo scatolette di carne ammuffita e del pane duro, dormiamo per terra sul fango, ci svegliamo con addosso odore di letame, c'è un clima umido e freddo non come in Sicilia .

Voi lì avete il mare cristallino, qui ci sono solo delle montagne.

Ho stretto diverse amicizie da quando sono in guerra, molte spezzate da una pallottola .

Ho visto molti amici venir uccisi davanti ai miei occhi, una delle cose più terribili che ti possano capitare.

Non ho mai provato a scappare perché se ci prendono ci fucilano all’istante ed io non voglio morire: voglio tornare a casa .

Ultimamente è tranquillo qui, non stiamo più attaccando. Però questa non è la guerra che immaginavo, questa è un'inutile carneficina .

Oh, Elisa, quanto mi mancate .

Quanto mi manca la mia terra, quanto mi manca insegnare.

Vi scrivo queste parole con le lacrime agli occhi .

Ti ricordi quando ci siamo sposati? Io avevo diciannove anni e tu eri una bellissima diciottenne con il vestito bianco pizzato di tua nonna .

Quanto eri bella! Mentre attraversavi la navata a braccetto con tuo padre, pensavo di essere l' uomo più fortunato del mondo .

Sono passati già quattro anni ed io uno di questi l' ho trascorso lontano da te, dai bambini, dalla mia famiglia, dalla mia Sicilia.

Per cosa, per stare in una trincea fangosa?

Forse è colpa mia, poiché sono andato io volontariamente al reclutamento. Se solo ti avessi ascoltato.

Spero di riabbracciarvi presto.

Non dovete stare in pensiero per me.

Con amore,

papà Michele.

C.

27 luglio 1915

Caro Diario,

ti sto scrivendo da una retrovia, ma tra pochi giorni passerò alla prima trincea dove per un po’ non ti potrò scrivere perché lì bisogna stare sempre in allerta in quanto potrebbero attaccarci; ti prometto però che continuerò a scriverti.

Come ti avevo già scritto prima di partire per la Guerra, visto che ho 20 anni avevo tantissima paura di morire e quindi non volevo lasciare il mio botteghino dove praticavo benissimo il lavoro di falegname.

Ma eccomi qui.

Franco

29 agosto 1915

Caro Diario,

come promesso ti scrivo.

Qualche giorno fa ho saputo come sta la mia famiglia a Bologna; ti dico subito che mia mamma, quando ha saputo dai giornali che avevamo attaccato gli Austriaci e molte persone erano morte, stava per morire anche lei perché pensava che tra quelle persone ci fossimo anche io e Gianni, mio padre.

Devo dire che mia mamma e i miei due fratellini mi mancano moltissimo ma so, anzi spero, che quando finirà la Guerra li rivedrò.

Adesso ti lascio perché dobbiamo prepararci per un attacco.

Franco

30 ottobre 1915

Caro Diario,

eccomi qua, adesso ti racconto l’attacco agli Austriaci.

Sai già che non sono morto perché sono qui a scriverti ma ho veramente rischiato perché appena sono arrivato ai loro fili spinati hanno incominciato a sparare a raffica senza un bersaglio preciso, ma per fortuna non mi hanno colpito, a differenza di alcuni miei compagni.

Ma adesso ti racconto tutto per filo e per segno.

Quando il Tenente ci ha detto che dovevamo prepararci per un attacco, siamo tutti sbiancati e ci siamo accucciati per terra come se sapessimo già che saremmo morti.

Dopo un po’ di minuti ci ha fatto alzare e scavalcare le nostre trincee e i nostri fili spinati e poi eccoci lì, nella terra di nessuno, pronti a correre per arrivare ai fili spinati degli Austriaci al segnale del tenente.

Appena vedemmo il segnale incominciammo a correre con la speranza di non morire.

Una volta arrivati ai fili spinati, come ti ho già scritto, gli Austriaci incominciarono a sparare a raffica e vidi tanti miei compagni accasciarsi al suolo.

Quando scavalcammo i loro fili spinati e arrivammo alla loro prima trincea non c’era nessuno ma poi sbucarono da dietro la seconda trincea e incominciarono a sparare. Io mi buttai a terra fingendomi morto e poi, pian piano senza farmi vedere, ho di nuovo scavalcato i loro fili spinati e sono tornato alle nostre trincee dove rispetto a prima dell’attacco c’era pochissima gente.

Adesso però ti lascio perché vado a dormire, sperando che gli Austriaci non attacchino di notte.

A domani,

Franco

D.

Altopiano dell’Isonzo, 14 dicembre 1917

Ciao mamma,

come stai? Fa freddo in Piemonte? Devo dire che io non sto malissimo: hanno trasferito il mio reggimento dalla prima linea alle retrovie, dopo l’attacco di ieri.

Qui c’è molta neve, ma non ho freddo e finalmente posso scriverti!

Ora è notte fonda ma i cannoni continuano a sparare, sempre più forte come se ad ogni boato si nutrissero della paura provocata. L’altro ieri il generale Cadorna, quello scellerato, ha ordinato cinque attacchi contro la trincea austriaca. Il terzo ha coinvolto il mio reggimento: non eravamo pronti, un massacro. Dei miei, solamente 45 uomini sono tornati; che terrore!

Mentre eravamo lì, a pochi metri dalle mitragliatrici che ci sparavano e dalle bombe che esplodevano, l’unica cosa che ho pensato è stata: <<Voglio rivedere mia mamma e i miei alunni, non posso “mollare” ora!>>.

Abbiamo resistito per cinque ore a pochi metri, tutt’uno col suolo roccioso coperto di sangue e neve, a sparare senza mirare, a urlare e piangere e purtroppo a morire.

Quando finalmente è scesa la notte, siamo tornati alla nostra trincea, sconvolti e feriti. Durante l’attacco una scheggia di una granata mi ha ferito, ma stai tranquilla, è tutto a posto e per ora non c’è segno di infezione.

Ho visto morire il mio migliore amico, il Tenente Rossi, solo per tagliare del filo spinato, del maledettissimo filo spinato! Lo hanno rimpiazzato con me: ora sono il tenente Bertone e spero che tu sia fiera di me. Come sta il mio fratellino? Si è sposato con la sua Rosalinda?

Ieri sera Cadorna ha ordinato un’altra serie di attacchi. Mi dispiace mamma, non ho voluto mandare i miei soldati e mi sono opposto al Colonnello; non ti preoccupare, non ci fucileranno perché sono l’unico che conosce il territorio ma, purtroppo, non credo che riuscirò a tornare per Natale, anzi non credo che tornerò più.

Non essere triste, morirò con onore e donando valore alla nostra famiglia! Quindi mamma, salutami il mio fratellino e ricordagli che tra poco compirò 35 anni e che se non mi manda dei bei sigari il mio fantasma lo perseguiterà! Vi voglio bene, siete i migliori.

Salutami i miei alunni, in particolare la piccola Maria che era così triste quando, prima di partire, le raccomandai di imparare il congiuntivo.

Tra questi boati, orrori e queste ingiustizie, il desiderio di vivere è immenso ma, ora, l’unica possibilità di salvezza mi pare la morte. Mi fa malissimo parlartene mamma, ma per una volta non voglio mentire.

Un bacione,

il tuo Emy.

F.

29 febbraio 1917

Cara mamma,

come stai? Spero bene, io me la sto cavando. A Torino tutto a posto? Alla fine Chiara ha trovato la bambola che aveva perso? Salutamela tanto e dille che è la migliore sorellina del mondo.

Papà come sta? Al lavoro tutto bene? Spero di sì.

E Francesca? Dille che la amo tanto e che appena sarà finita questa stupidissima guerra le chiederò di sposarmi.

La situazione qua al fronte non è delle migliori. Come penso abbiate saputo è appena avvenuta la disfatta di Caporetto, ma puoi stare tranquilla: io non ero in quella zona del fronte.

Adesso mi trovo sul Piave dove a situazione è pessima, le trincee sono scavate male e in modo veloce, i rifornimenti sono pochi e l’umore è molto basso.

In compenso mi sono fatto un amico, si chiama Franco ma tutti qui lo chiamano il professore perché prima di questa dannata guerra era un professore; è molto simpatico ma anche molto riservato.

Lui si trovava proprio a Caporetto quando avvenne la disfatta; a volte me ne parla e mi racconta di colline ricoperte da cadaveri, boschi e villaggi bruciati.

In questo periodo stiamo facendo molti attacchi e ho molta paura; temo di crepare qua senza poter più riabbracciare né te né il papà o Chiara oppure Francesca.

Ogni volta che iniziano i bombardamenti penso che questa è la volta giusta, la volta che ci rimango secco e quindi inizio a guardarmi intorno e a pensare che fra tutte le persone che ho vicino solo alcune torneranno e ogni volta, ogni dannatissima volta prego, prego che tra quei pochi che torneranno ci saremo io e Franco; per ora ha funzionato.

Il cibo qua è penoso: ci danno di solito del pane ammuffito e del brodo che assomiglia a piscio.

Di solito, appena sta per iniziare un attacco, ci danno da bere del rum e poi il generale urla di uscire, di andare fuori, nella terra di nessuno, e di essere coraggiosi, di andare lì e stanarli, e chi non ascolta gli ordini del comandante viene fucilato immediatamente sul posto.

Salutami tutti, non vedo l’ora che tutto questo finisca e di potervi abbracciare ma nel frattempo mi accontenterò di queste lettere.

Baci e abbracci.

Soldato semplice Andrea Tommasini.

G.

Confine lungo il Piave, 25 ottobre 1917

Caro fratello,

come stai? Come vanno le cose a Palermo? Mamma e papà stanno bene? Riuscite almeno a mangiare un pasto al giorno?

Sono molto contento di poterti scrivere per la prima volta dopo oramai due anni; non puoi immaginare quanto vorrei tornare lì da te. Qui le cose vanno sempre peggio e mi sento ogni giorno più diverso, più preoccupato, più terrorizzato, non riesco più a raccontare le mie filastrocche, quelle che insegnavo ai miei alunni, ma soprattutto non riesco a combattere.

La guerra non è come immaginavamo: consiste nel continuare a uccidere persone innocenti, andate, come me, a combattere per la patria, che magari non vedranno mai la fine, se ci sarà mai una fine, che prima di morire ti guardano negli occhi per l'ultima volta e chissà cosa pensano. Il solo pensiero mi inquieta, perché so che è troppo terribile; la cosa peggiore però è veder di continuo i miei amici morire sotto i miei occhi, perché purtroppo non c'è più un momento di tregua, specialmente da ieri.

Ieri, il 24 ottobre 1917, c'è stata una terribile disfatta per noi Italiani, della quale sentirai parlare. Gli Austriaci ci hanno attaccati pesantemente, ma per fortuna siamo riusciti a fermarli lungo il Piave; ciò è successo a causa dell'incapacità del generale Cadorna e dei suoi ufficiali, poiché non si sono fatti trovare pronti all'attacco; questo comporterà la fuga di moltissime persone dai territori dove ora ci sono gli Austriaci e, se le mie intuizioni sono vere, purtroppo la colpa verrà attribuita a noi soldati.

Ti ricordi quando volevamo entrambi l'entrata in guerra a tutti i costi mentre mamma al contrario diceva che era meglio rimanere neutrali? Penso che avesse proprio ragione, sai.

Ieri sono stato ferito e hanno dovuto amputarmi una gamba e sento molto male, però non ti preoccupare, perché non è niente di che, ho visto di peggio, purtroppo; te lo dico solo per farti capire l'atrocità della guerra e per dirti che sono felice che tu non sia venuto a combattere con me, come avresti tanto voluto, perché avresti visto cose troppo pesanti. Pensa che in ventidue anni non ho mai visto cose del genere.

La vita di trincea è quasi peggio del combattimento, la guerra è diventata di logoramento, cioè perde chi rimane senza munizioni, ricariche, cemento per i bunker, non chi è più debole e perciò ho paura da un lato che finisca subito per noi, ma dall'altro che si prolunghi per troppo tempo e a me questo periodo sembra eterno. Poi sta facendo sempre più freddo e si vive in condizioni igieniche pessime: si mangia malissimo e peggioriamo ogni ora che passa.

Comunque voglio dirti che ti ho sempre voluto bene, anche a mamma e papà.

Sei il miglior fratello che si possa desiderare.

A presto,

Ugo

P.S.: non vi dimenticherò MAI.

L.

14/01/1916

Caro diario,

qua in trincea si gela, sarebbe il mio turno per andare nelle retrovie, ma qualche deficiente si è ferito apposta, quindi mi hanno raddoppiato il turno. I superiori non lo sanno che si é ferito apposta, oppure avremmo un morto in più.

Tommaso è stato promosso a generale, ora se ne va in giro a dare ordini, parecchio inutili, a tutti. Nessuno lo ascolta, ma appena se ne accorge si mette ad urlare. È uno spettacolo cosi patetico, che pare faccia uno spettacolo comico.

Comunque Tommaso sta diventando come tutti i superiori, convinto che serva solo coraggio e che morire in battaglia sia un onore. Solo le mie strigliate lo riportano alla realtà.

Giuseppe

25/01/1916

Caro diario,

sono di ritorno da un attacco parecchio pesante come numero di morti e posso finalmente stare qualche giorno nelle retrovie.

Abbiamo fatto retrocedere gli Austriaci di qualche chilometro, ma abbiamo perso cinquemila uomini.

La notte scorsa Tonino era di guardia a ha sentito due superiori parlare di "Censura".

Con Tonino, Emilio, Gianni e Andrea, ci siamo scervellati per capire cosa significasse. Ma é stato necessario l'intervento di Tommaso,per fare luce sul significato.

Ci ha spiegato che le nostre lettere a casa vengono riviste e tolgono le parti che descrivono la vera guerra, in modo da prevenire malcontenti nelle famiglie e nell'opinione pubblica.

Siamo rimasti senza parole e non credo che scriveremo lettere per un po'.

Il problema del giorno è la mancanza di cibo.

Giuseppe

P.S. Tommaso é ritornato in sé: sospetto che ti abbia letto.

17/02/16

Caro diario,

sono di nuovo nelle retrovie, dall'ultima volta siamo retrocessi di parecchio e abbiamo perso altri quattromila uomini.

Siamo di nuovo in quel punto imprecisato del Veneto in cui è morto Filippo, il mio fratellino. Era anche lui un ragazzo del '99, ma io ero nato a gennaio lui a dicembre. Parlando di lui mi viene in mente papà, chissà dov'è finito. Noi fratelli eravamo tutti insieme, lui chissà dove. Magari é stato congedato, ed è tornato a lavorare nella farmacia con Mamma e Giuliana. Vorrei tanto scrivere a Giuliana, ma con la censura è impossibile. Qua siamo tutti sfiniti, manca il cibo e la settimana scorsa c'è stata una gelata da far paura.

Giuseppe

20/05/1922

Caro diario,

oggi ho aperto la buca delle lettere e ti ho trovato, chissà chi ti ha riconsegnato.

L'ultima volta che ti ho visto é stata poco dopo il 17/02/1916, poi sei sparito nel nulla.

La guerra é finita da quattro anni. Siamo tornati ad Ivrea,il papà é vivo ma un po' ammattito; le persone come lui qua le chiamano “i matti di guerra”.

Io e la mia famiglia lavoriamo di nuovo nella farmacia e gli affari vanno alla grande. Intanto mi sono sposato con Teresa e abbiamo un figlio: Filippo.

Tutto è tornato alla normalità o quasi.

Oggi è una bella giornata di maggio e credo che andremo a fare un pic-nic al lago.

L’unica grande differenza è che non c’è Filippo. Ci manda tanto e, una settimana sì e uno no, lo vado a trovare al cimitero. Per finire, ritengo che questa sia l’ultima pagina in cui ti scrivo: serve solo a ricordare la guerra, non i giorni felici.

Giuseppe

M.

17/8/1916

Caro diario,

questa è la prima delle tante pagine che ti scriverò.

Mi chiamo Francesco Bartini, ho 17 anni, ma presto ne compirò 18.

Sono stato arruolato ormai da un mese, ricordo benissimo quando sono arrivati due soldati davanti a casa mia. C’era mia mamma che piangeva mentre mia sorella la consolava e a fatica tratteneva le lacrime.

Ci siamo salutati e mi hanno portato qui al confine con l’Austria.

Nella trincee devo stare costantemente piegato, dato che sono alte 1.65 metri.

Penso sempre alla mia famiglia e a quanto mi manca quel buon cibo che mi preparavano mia mamma e mia sorella.

Qui si mangia male e poco e poi non riesco a smettere di pensare che mio papà sia morto qui: era un ufficiale per questo voglio rimanere in vita, per non dare più dispiaceri alla mia famiglia.

Avevo interrotto gli studi per aiutare la mia famiglia economicamente,

avevo una piccola falegnameria dova facevo il falegname.

Spero di scriverti presto.

18/8/1916

Caro diario,

oggi è il mio compleanno: i miei compagni come regalo mi hanno dato una razione extra di cibo che ho condiviso con un ragazzo di 16 anni.

Siamo diventati subito amici.

Come se non bastasse ho ricevuto una lettera dai miei familiari, i quali dicono che gli manco molto, che mi vogliono molto bene e mia mamma ha detto che gli mancano molto i miei occhi azzurri come il mare e i miei ricci bruni.

Qui tutti mi chiedono se sono interventista e non so mai cosa rispondere perché non so bene che cosa voglia dire, comunque rispondo sempre di no.

Ho parlato con il Tenente che è una persona molto sensibile e comprensiva e gli ho spiegato che ho paura di morire e allora come regalo per il mio compleanno mi ha spostato nelle retrovie.

Comunque la paura di morire rimane.

27/9/1916

Caro diario,

ho provato a scrivere delle lettere ma me le hanno censurate e non le hanno spedite. Sento che l’unico su cui posso scrivere sei tu.

Io essendo sempre stato nascosto e rifugiato nelle retrovie non avevo mai sparato un colpo, tranne oggi.

Mi hanno messo alla mitragliatrice e ho ucciso un uomo: non l’avevo mai fatto. L’ho visto accasciarsi e non rialzarsi.

Ed in quel momento e come se fossi morto anche io.

Voglio solo dimenticare questa giornata.

17/1/1917

Caro diario,

non ce la faccio più. Siamo in una situazione di stallo con gli Austriaci,

avanziamo e retrocediamo.

Sento che sta per arrivare la mia ora.

L’unica nota positiva è che ho incontrato di nuovo il mio amico Enrico: non lo vedevo da tantissimo tempo.

18/2/1917

Caro diario,

sono Emilio Giacometti, l’amico di Francesco.

Oggi è morto per salvarmi la vita, ma gli ho fatto una promessa: che porterò questo diario alla sua famiglia.

Sono riuscito faticosamente ad ottenere un permesso e andrò a casa sua.

Addio.

Emilio Giacometti

S.

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